«Ehi, papagena, la papaya! Chupala!» Oppa Minions style

C’è una sincerità in creature basse a forma di banana come i Minions che ha molto più a che fare con un approccio onesto e senza grilli all’animazione che con la loro forma fallica – sempre sincera, perché, sì sa, un durello non mente. Mai.

I Minions entrano nel panorama delle sale un po’ come lo vorresti, tutto sommato controcorrente. Non che non ci si attenda la milionata di petroldollari al botteghino, al merchandise, alle sponsorizzazioni – che arrivano, ovviamente perché ci si prestano bene – ma perché precedono giusto di poco quell’altro film che l’ha fatto diventare durissimo più o meno alle stesse persone che si aspettando di doversi giustificare se vanno a vedere i cartoni animati al cinema e che precedono le loro opinioni con frasi tipo “Oh, ma non è per bambini”, “Secondo me questo l’hanno fatto pensando più agli adulti”, “Anche se è un cartone animato è profondo”.

Il film da solisti dei Minions ha il pregio di fottersene altamente degli “Oh, ma” e degli “Anche se”, abbraccia senza vergogna la stupidità nel suo senso più alto e liberatorio. Quando altri vanno nella direzione di cercare un modo per alzare il registro che suona molto di giustificazione, i Minions va a togliere tutti gli intralci che ostacolano la pura curiosità visiva. C’è un modo di intendere l’animazione dietro che è comunque raffinato, anche se agli antipodi di un approccio narrativo, più vicino alle arti grafiche e, alla sua maniera, viscerale.

Agli autori interessano prima le creature, poi tutto il resto. Creature fatte di due cose: banana e papaya…. no, fatte, da una parte, dal Minionese, un gramelot inventato mescolando lingue accazzo, ad estro o considerando solo la musicalità dell’insieme, da Pierre Coffin, regista dei due precedenti Cattivissimo Me (qui con Kyle Balda, un professionista con una lunga esperienza nel dipartimento tecnico) e doppiatore dei Minions da altrettanto tempo, e dal design di Eric Guillon.

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I Minions non son stati fatti in un giorno (Eric Guillon)

Quando si trovano a parlare della loro invenzione, Pierre Coffin cita uno dei fondamenti dell’animazione: l’intento di rendere universale l’appeal dei personaggi attraverso la sola risposta emotiva, senza ricorrere alle parole, come ai tempi del muto –  e anche se qui si parla in qualche modo di una sfida da superare, per la durata del film; una risposta diretta su cui c’è poco da ricamare fronzoli, e che sarebbe probabilmente la stessa che darebbe Lasseter, che ha dato il via alla Pixar animando una lampada da tavolo, e a cui forse aggiungerei solo che una spintarella potrebbe essergli anche arrivata da un educazione giramondo –  Coffin è mezzo francese e mezzo indonesiano, e ha vissuto quell’infanzia un po’ apolide di quando sei un bambino sfigatissimo con genitori fighissimi che girano per il mondo per il loro lavoro strafigo-di-merda. Sono robe che effettivamente ti glippano il centro del linguaggio.

Parallelamente, Eric Guillon si rifà dichiaratamente a tutta una tradizione di cartoni animati famosi per la sintesi, tra cui anche la Linea di Osvaldo Cavaldoli (dici poco!). La vincenza dei Minions (anche come fabbriche di soldi, perché design chiama design) passa tutta da qui, e in definitiva è una scelta (non solo commerciale, come direbbero i maligni, ma) anche di poetica.

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La pacata dimostrazione.

Probabilmente è anche grazie a questi professionisti e alla loro formazione che Minions è un film che guarda un po’ anche all’Europa, non solo per la colonna sonora british pop-rock e l’ambientazione nella swinging London. C’è mezza parte di musicarello con Gianni Morandi giovane dentro, e la fortuna di pensare, in modo tutto diverso dagli americani, che film per ragazzi che vanno a vedersi anche gli adulti non passi necessariamente per le famiglie come filtro. Prima le ideuzze visive, i cattivi fantasiosi buttati dentro a mani basse, i dettagli sfiziosi, poi la morale, e grazie al cielo.

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Qualsiasi idea coinvolga una donna e un razzo è buona (Eric Guillon).

Certo ci vuole un bel po’ di spirito non sense e l’inclinazione giusta, per prenderlo bene, il film dei Minions, ma viste le premesse non è il caso di “spegnere il cervello”, un’attività che, se un vostro amico vi propone di intraprendere andando al cinema, vi suggerirei di evitare e spegnere lui ai godimenti della vita. L’andamento del film è episodico, la storyline principale pretestuosa e probabilmente non tutte le gag arrivano a segno o passano indenni una seconda visione, colpa che imputerei a Brian Lynch e alla sua sceneggiatura; sembra sia uno voluto dalla produzione per il suo coinvolgimento nell’attrazione dedicata agli Studi Universal, con un certo senso dell’instant flick, si sente un fumettista indie prestato al cinema, ma ha un coglionometro settato a livelli belli alti a leggere i suoi tweet.

Eppure, nonostante i difetti, il film rimane lieve, non c’è un messaggione imposto a forza. Ci sono i Minions che cercano un cattivo da seguire, perché senza un cattivo si annoiano, punto. Minions è un po’ spiazzante, perché non c’è nemmeno satira: i Minion sono fatti a misura di bambino, hanno la cultura del più forte-e-cattivo non perché siano nazifasci (infatti sono gialli, mica neri), ma perché sono indifesi di fronte alla natura e agli altri esseri viventi – eppure senza stimoli deperiscono. Se siete patiti di queste cose, potete mettervi allora l’animo in pace con questo, con il fatto che un Minion è un candido davanti all’ingiustizia universale del mondo la cui esperienza è propria della condizione umana, e #appostocosìgrazie.

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E se la vostra risposta non è TIRANNOSAURO siete persone brutte brutte (Eric Guillon).

 

L'autore /


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"Un coniglio grande e possente. Suoi simboli sono il martello onniveggente e la falce vendicativa." - UrbanDictionary.com -

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